Il ritorno della kefiah in Occidente ha un valore politico

La kefiah è tornata a diffondersi come simbolo di solidarietà rispetto al popolo palestinese, ma scopriamo di più sulla sua creazione

Con l’escalation del conflitto tra Israele e Hamas la kefiah, un copricapo tradizionale utilizzato nel mondo arabo, è riemersa anche in Occidente come simbolo del nazionalismo palestinese. Questo tessuto di cotone a fantasia a scacchi è diventato un’icona della causa palestinese nel corso del tempo.

L’uso della kefiah al di fuori della Palestina risale almeno agli anni ’60, quando aveva un forte messaggio politico che, nel corso del tempo, si è gradualmente affievolito fino a diventare un semplice accessorio di moda proposto da vari marchi.

Tuttavia, in seguito alla recente escalation del conflitto, molti palestinesi stanno incoraggiando anche coloro che non sono di origine palestinese a indossare la kefiah in segno di solidarietà con la loro causa. Di conseguenza, la kefiah ha riacquistato un significato politico e simbolico.

C’è chi ha ripescato la kefiah dagli armadi dove l’aveva riposta anni fa e chi, al contrario, l’ha acquistata di recente: Nael Alqassis, il proprietario di Hirbawi, un’azienda palestinese che produce kefiah dalla Cisgiordania dal 1961, ha riferito al New York Times che da ottobre gli ordini provenienti dall’estero “non hanno precedenti nella nostra storia”: solo in quel mese sono stati registrati 18.000 ordini.

La kefiah e il suo significato politico

La kefiah, conosciuta anche come keffiyeh, kufiyeh e hatta, è un copricapo simile ad altri indumenti utilizzati nel Medio Oriente, come la shemagh e la ghutra. Sebbene l’origine del nome non sia chiara, alcuni suggeriscono che possa derivare da “di Kufa”, riferendosi alla città irachena dalla quale potrebbe provenire.

Inizialmente, la kefiah era utilizzata principalmente per proteggersi dal sole, dal vento e dalle tempeste di sabbia. Fino agli anni ’20, era indossata principalmente dagli uomini beduini, che la piegavano in diagonale e la fissavano con una corda chiamata aqal.

Un'attivista con la faccia coperta dalla kefiah a una manifestazione a sostegno della causa palestinese
Un’attivista con la faccia coperta dalla kefiah a una manifestazione a sostegno della causa palestinese, – © Vincenzo Nuzzolese/SOPA Images via ZUMA Press Wire – Museodiocesanotorino.it

 

Questo indumento serviva anche a distinguere gli uomini beduini da coloro che vivevano nei villaggi e nelle città, dove era più comune indossare un cappello di feltro rosso noto come tarbush o fez.

Il significato e l’uso della kefiah cambiarono radicalmente nel 1936, durante la cosiddetta “Grande rivolta araba”. Questo periodo segnò l’inizio del conflitto tra arabi ed ebrei in Palestina e fu caratterizzato da scontri, violenze e scioperi contro l’occupazione britannica e il movimento sionista, nonché contro gli insediamenti ebraici in crescita.

Durante questi eventi, la kefiah divenne un simbolo della rivolta, spesso indossata dai ribelli per nascondere il viso durante gli scontri, contribuendo così a conferirle un significato politico e di resistenza.

Durante la “Grande rivolta araba” i leader della rivolta ordinavano agli uomini palestinesi di indossare la kefiah come segno di solidarietà con i ribelli, rendendo difficile ai britannici distinguere tra i ribelli e la popolazione comune.

Questo portò persino coloro che abitavano nelle città o appartenevano a classi agiate a sostituire la kefiah al tradizionale tarbush. Alla fine degli scontri, la kefiah era diventata un simbolo di identità nazionale palestinese.

In quel periodo, la kefiah non aveva ancora l’aspetto bianco e nero che associamo comunemente adesso. Secondo studi basati su fonti dell’Ottocento, la kefiah poteva presentare una varietà di colori, tra cui il bianco e nero, ma anche il verde e talvolta fili d’oro e di rosso.

La combinazione bianco e nero si affermò definitivamente negli anni ’50, quando il generale britannico John Glubb, comandante della Legione Araba, assegnò questa colorazione ai soldati palestinesi per distinguerli dai soldati giordani, che indossavano kefiah bianche e rosse.

L’origine e il significato dei motivi decorativi presenti sulle kefiah non sono noti con certezza, ma alcuni ritengono che rappresentino elementi della vita in Palestina.

Le strisce nere sui bordi potrebbero simboleggiare le antiche rotte commerciali nel territorio, il disegno a rete potrebbe richiamare il legame con il Mar Mediterraneo, mentre le linee curve potrebbero essere un riferimento agli ulivi, simbolo di resistenza nella cultura palestinese.

Dalla fine degli anni’60, la kefiah iniziò a essere utilizzata anche dalle donne, soprattutto dopo che Leila Khaled – militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) che nel 1969 dirottò un aereo di linea americano – venne fotografata mentre ne indossava una tenendo in mano un fucile AK-47.
Come spiega la storica Anu Lingala in A Sociopolitical History of the Keffiyeh, la fotografia fece diventare la kefiah un “accessorio senza genere” e spinse “centinaia di giovani donne arrabbiate in tutto il mondo” a indossarla come sciarpa, ma contemporaneamente spinse molti paesi occidentali ad associarla al terrorismo.

La kefiah acquistò una popolarità internazionale soprattutto grazie a Yasser Arafat, che dal 1969 al 2004 fu il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), dapprima un gruppo armato e poi un movimento politico che aveva come obiettivo l’emancipazione del popolo palestinese.

Arafat infatti la indossava sempre e così la kefiah comparve su tutti i giornali e le televisioni del mondo, compresa la storica foto scattata insieme all’allora primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e al presidente degli Stati Uniti Bill Clinton nel cortile della Casa Bianca, durante la firma degli storici accordi di Oslo nel 1995.

Arafat venne fotografato anche con moltissimi politici italiani, contribuendo a far conoscere la kefiah in Italia: tra loro c’è anche Giulio Andreotti, leader della Democrazia Cristiana e più volte primo ministro, che nel 1988 venne fotografato con una kefiah bianca a Palmira, in Siria.

Tra gli altri capi di stato e di governo che indossarono pubblicamente la kefiah ci furono l’ex presidente e rivoluzionario cubano Fidel Castro e l’ex presidente e attivista sudafricano Nelson Mandela, il cui partito in difesa dei diritti della popolazione sudafricana nera era vicino all’OLP.

“I primi occidentali a indossare la kefiah furono perlopiù attivisti contro la guerra della fine degli anni ’60” spiega la storica Lingala. Qui però la kefiah assunse presto nuovi significati: il Guardian racconta che inizialmente venne indossata dagli esponenti di movimenti controculturali, come quello del Sessantotto, che contestava la rigidità delle istituzioni e i valori tradizionali, sessuofobi e patriarcali della società occidentale, mentre tra gli anni Settanta e Ottanta divenne un simbolo di pacifismo e anti-autoritarismo.

In tal senso venne usata provocatoriamente da artisti come Madonna, fotografata nel 1982 mentre ne indossava una. In Italia, invece, la kefiah venne etichettata come un indumento da “centro sociale”, di sinistra, acquisendo un’ulteriore connotazione.

Nel 1988, la rivista Time riportava che negli Stati Uniti la kefiah stava perdendo parte del suo significato politico, poiché molti giovani americani la indossavano senza conoscere il suo vero nome o il suo significato.

L’articolo descriveva come la kefiah fosse diventata un accessorio di moda facilmente reperibile nei negozi ambulanti lungo la costa orientale, promettendo di conferire uno stile da streetwear americano del 1988.

Negli anni successivi, la kefiah è stata integrata nelle collezioni di moda da marchi come Raf Simons e Balenciaga, diventando parte di uno stile chiamato “terrorist chic” dai critici di moda. Successivamente, stilisti come Isabel Marant hanno incorporato la kefiah nelle loro collezioni, accostandola a capi in verde militare e kaki.

Parallelamente alle aziende di moda, la produzione di kefiah a basso costo si è diffusa dalla Cina in Europa e negli Stati Uniti, con imitazioni dai colori vivaci.

Tuttavia, l’uso della kefiah come accessorio di moda ha sollevato polemiche, soprattutto quando è stata commercializzata come una sciarpa “contro la guerra” da marchi come Urban Outfitters, suscitando proteste da parte di varie organizzazioni.

Negli Stati Uniti, la kefiah è diventata simile alle magliette di Che Guevara, prive di significato politico e diventate simboli della cultura pop ed è stata particolarmente diffusa tra gli hipster, una sottocultura di giovani bohémien del ceto medio.

Anche in Italia, durante quegli anni, non era raro vedere giovani appartenenti a diverse sottoculture indossare la kefiah in luoghi come le Colonne di San Lorenzo a Milano o Piazza del Popolo a Roma.

Celebrità come Colin Farrell, Cameron Diaz, Kirsten Dunst e Sarah Jessica Parker nel ruolo di Carrie Bradshaw nella serie tv Sex and the City hanno contribuito a rendere popolare la kefiah.

La situazione odierna

Oggi le aziende trovano difficile sfruttare la popolarità delle kefiah per diversi motivi: innanzitutto, queste sciarpe portano con sé un forte messaggio politico e culturale, il che richiede una certa sensibilità nell’utilizzarle nel contesto della moda.

Inoltre, nel mondo della moda c’è un crescente dibattito sulla cosiddetta “appropriazione culturale”, che si riferisce alla pratica di adottare elementi culturali da un’altra tradizione senza considerare il loro significato originale o senza rispettare la cultura di origine.

La lavorazione di una kefiah in un’azienda a Hebron, in Cisgiordania
La lavorazione di una kefiah in un’azienda a Hebron, in Cisgiordania -Mamoun Wazwaz/Xinhua via ZUMA Press – Museodiocesanotorino.it

 

Alcuni marchi sono stati criticati per aver utilizzato le kefiah in modo irrispettoso o per aver sminuito il loro simbolismo, come è successo nel 2019 al marchio di lusso Cecile Copenhagen che è stato accusato di utilizzare stampe tradizionali di kefiah in modo inappropriato, mentre nel 2021 Louis Vuitton ha dovuto ritirare una sciarpa che ricordava una kefiah a causa delle critiche per la sua elevata tariffa e per la mancanza di sensibilità nei confronti del significato culturale.

Oggi marchi come GMBH e lo stilista Salvatore Vignola hanno integrato le kefiah nelle loro collezioni, con l’intento di sostenere la lotta per la liberazione della Palestina e di promuovere la giustizia sociale e la decolonizzazione. Questo approccio riflette un cambiamento nel modo in cui la kefiah è percepita oggi, con un focus maggiore sul suo significato politico e sociale piuttosto che sul suo uso come semplice accessorio di moda.

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